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l'eclisse 
Un giorno, il giorno sparì, la luna eclissò il sole e tutte le pulci sanguinanti chiesero sangue.  
Non si sciolsero insieme ma, come spighe mature si cullarono dentro i morsi della falce. Il giorno diventò silenzioso e tutta la musica dei cani cessò e più divenne buio, più si interruppe la vita. 
Vita e non vita si dettero battaglia; l’una con le croci tagliate  nel legno più povero, l’altra con i simulacri di metalli falsi. 
Non ci fu tregua per raccogliere le pulci sanguinanti, né queste ne dettero perché i cani stirassero le loro zampe. Maya e Tzotziles urlarono la loro miseria fino ai cimiteri di Al Fatah e l’eco risuonò nella valle di tutto il pianeta. Tutti si specchiarono nel vetro per guardarsi ancora alle spalle. Ma non servì. I cocci di ferraglia nauseante sparirono nella sabbia del Tahat e l’ultimo latrato non aiutò la pietà delle formiche. 
Tutto è finito: il socco di Tangeri e i bordelli di Istanbul, le speranze di Guevara  e le puttane di Cholon.  Ciò che resta delle pulci sanguinanti guardano nel vuoto bui carapaci di cristallo che non brillano più.  
Il dio dell’ Acqua tuonò per ripulire i laghi putrefatti e il dio della Dualità li cercò. Tanto il cane tanto la pulce insanguinata smisero di rincorrersi. Ma non si incontrarono. Il tempo che era passato era modesto. Le nuvole coprivano ancora di pioggia i laghi e i fiumi. Il dio della Misericordia li accecò e li rese giullari, uno cieco e l’altro grasso. Poi li pose all’angolo degli Oceani a confondere i suoni di Non-so-Tenango con quelli di Lontana-bad, pensandoli rumori.  
Le uova dischiuse guardavano dall’alto del Pantheon e battevano le mani.