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Non c’era quel giorno nel buio un filo di vento e la luna, che di solito si appanna di vapore, era così ricca nel cielo che l’Oceano, senza contorni, si vedeva infinito.
Da prima ancora che nascesse il tempo, una fanciulla silenziosa come la solitudine, si guardava dentro, cercando di scoprire qualcosa di sé che le desse motivo di esistere.
Perciò si rifugiava in un bosco, dove il largo tronco di un albero caduto, si era trasformato in un trono che dominava la palude.
Passavano i giorni, i mesi ed il tempo e la fanciulla, non trovando niente da riordinare dentro di sé, fissava i colori che aveva attorno dando loro le forme ed i suoni che le sembravano più suggestivi.
Tutto la emozionava. La danza delicata di una farfalla che sembrava accarezzare l’aria; il disegno mutevole dei fiori che, sebbene uguali fra loro, a lei apparivano diversi; il planare di una foglia di castagno che cercava il letto del suo riposo.
Tutto ciò le piaceva perché le dava, in quell’immobilità che aveva scelto, la gradevole sensazione che tutto potesse mutare.
La fanciulla si immedesimava a tale punto in ciò che credeva di vedere che lentamente finì col volere trasformarsi in una di quelle cose.
Ma l’insetto, cambiando di forma ad ogni metamorfosi, finisce col non riconoscere se stesso né farsi riconoscere dagli altri ed è così acceso nel suo metabolismo che vive un momento in un istante. E ciò la rattristava.
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